#2 Quel poveretto del padre di Biancaneve
Dopo aver parlato per anni degli stereotipi sessisti nella fiabe, sono tornata ad analizzarle, questa volta concentrandomi sui personaggi maschili: ho scoperto che non sono quello che pensavo.
In quest’ultima settimana, grazie al discorso tenuto da Paola Cortellesi alla Luiss, in Italia si è parlato di nuovo molto di fiabe. Per me - che ho amato moltissimo il suo film - è stato molto emozionante sentirle citare “un libro di fiabe sulle storie di grandi donne” tra i materiali che l’hanno ispirata (Cortellesi è una delle voci dell’audiolibro di Bambine Ribelli).
L’ultima volta che avevamo parlato così tanto di fiabe infatti era il 2017, quando Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli arrivò in Italia con una campagna che proponeva di decostruire il sessismo nelle fiabe per proporre alle bambine dei modelli diversi rispetto a quelli delle fiabe tradizionali.
Il concetto del ‘curriculum nascosto’
A Tedx Tiburtino, nel 2017, spiegai come tutte le storie che consumiamo abbiano un cosidetto ‘curriculum nascosto’.
Il curriculum nascosto è tutto ciò che impariamo da una storia anche se non rientra nei messaggi espliciti della storia.
Per esempio, potremmo dire che la morale esplicita di Cenerentola di Disney è legata alla vittoria del bene sul male, anche quando sembra che il male abbia il potere dalla sua parte. Questo è il curriculum esplicito della storia.
Poi c’è il curriculum nascosto: il bene è incarnato da una ragazza bellissima e il male dalle sue sorellastre brutte, l’invidia è il sentimento prevalente che le sorellastre provano per Cenerentola… questi messaggi arrivano a chi legge, senza che chi legge (e in alcuni casi perfino chi scrive) neanche se ne accorga. È nel curriculum nascosto delle storie che si annidano gli stereotipi. Spessissimo quella cosa complessa e misteriosa che chiamiamo ‘cultura’ si forma molto più fra le righe delle storie che non attraverso i loro messaggi espliciti.
Qual è dunque il ‘curriculum nascosto’ che contengono le fiabe per quanto riguarda i personaggi maschili?
All’inizio dell’anno scorso, sono tornata ad analizzare le fiabe e questa volta mi sono posta due domande:
I personaggi maschili sono effettivamente più liberi di quelli femminili?
C’è un ‘curriculum nascosto’ contenuto nelle fiabe che parla ai maschi, e se sì, qual è?
Cenerentola
Il principe di Cenerentola percorre tutto il regno alla ricerca del piede che calzi quella scarpetta, e dalla sua dedizione alla causa abbiamo sempre desunto che volesse effettivamente sposarsi… ma non c’è un punto della fiaba in cui lo vediamo prendere una decisione in merito. Sappiamo solo che lui è il principe e sappiamo che - per dare continuità al regno - il suo dovere è quello di sposarsi.
Il suo dovere, però, non ha nulla a che vedere con la scelta, né con la libertà.
Il principe sta cercando di svolgere al meglio un ruolo che gli è stato assegnato dalla sua famiglia. Si sta adeguando alle aspettative.
Biancaneve
Il ruolo nella storia del principe di Biancaneve, allo stesso modo, è definito dall’aspettativa sociale che il principe trovi costi quel che costi una ragazza nobile da sposare.
Jack e i fagioli Magici
Nella fiaba di Jack e dei fagioli magici, Jack compie un’impresa pericolosa perché - essendo un maschio - ha il ruolo di provvedere a sua madre e di proteggerla, anche se è solo un bambino.
Mettendo in fila un esempio dopo l’altro mi sono resa conto che questi personaggi non erano così liberi come credevo, ma che stavano semplicemente adeguandosi al ruolo di chi doveva - al di sopra di tutto - garantire la continuità del potere, la sopravvivenza del regno.
Mm. Interessante, ho pensato.
Ma, a mano a mano che rileggevo queste storie mi sono resa conto anche di un’altra cosa.
Tutti i personaggi maschili nelle fiabe sono presentati come privi di una vita interiore o disinteressati ad averne una.
Il padre di Biancaneve, poveretto, prima rimane vedovo. Poi si risposa con una stronza che vuole separarlo (sempre per invidia) dalla sua unica figlia.
E noi che cosa sappiamo di quello che prova quest’uomo?
Assolutamente niente.
Sappiamo che Cenerentola è triste perché le sue sorelle la bullizzano. Ma di ciò che prova il principe non sappiamo assolutamente nulla.
Storia dopo storia, personaggio dopo personaggio… la vita emotiva e spirituale dei personaggi maschili nelle fiabe (e negli oggetti culturali che ne sono derivati) risulta incredibilmente arida, quando non è del tutto inesistente.
Ci sono due notevoli eccezioni, che hanno qualcosa in comune.
La Bestia in “La Bella e la Bestia”
Quasimodo ne “Il gobbo di Notre-Dame”
Due personaggi che - all’interno dello schema Disneyano classico che è profondamente abilista - sono ‘osceni’.
L’oscenità dell’emotività maschile
La Bestia vive isolata, lontana dalla sua comunità: nessuno può reggere il suo malessere.
Quasimodo, allo stesso modo, vive nascosto nel campanile di Notre-Dame. Riuscirà a integrarsi e ad essere acclamato dalla folla soltanto dopo aver rinunciato all’espressione dei suoi sentimenti per Esmeralda, che nel frattempo si è innamorata di un eroe molto più convenzionale, Febo.
Un personaggio maschile che mostra la propria vita interiore, il proprio tormento, perfino la grandezza del proprio amore è, insomma, ‘osceno’, nel senso etimologico della parola.
I re e i principi più belli, quelli atletici, e non lasciano trapelare all’esterno alcun segnale dei propri turbamenti. È significativo da questo punto di vista l’esempio del gatto Romeo negli Aristogatti (Thomas O’Malley nell’originale - O’Malley, the alley cat, e cioè il gatto di strada). Romeo, a differenza di Duchessa, è un randagio. Pertanto è libero dalle convenzioni ed è proprio questa libertà estrema che rende la sua vita traballante, ai limiti, e gli consente di esprimere in modo così sincero ed esplicito la sua attrazione per Duchessa. Nella versione italiana, Romeo è anche il piacione mediterraneo, quindi viene ulteriormente ‘allontanato’ e presentato non solo come un randagio, ma anche come un randagio esotico, perché appartenente a un’altra cultura rispetto a quella della nobile gattina bianca.
Le fiabe insegnano ai maschi a nascondere le proprie emozioni, perfino a se stessi.
Nella puntata precedente, vi citavo il meraviglioso libro di bell hooks La volontà di cambiare. Ve lo cito di nuovo anche in questa puntata, e spero davvero che decidiate di leggerlo.
Gli uomini non possono parlare del loro dolore all’interno della cultura patriarcale. I bambini lo imparano fin dall’infanzia.
E ancora:
Nonostante la diffusione del movimento femminista, la socializzazione dei maschi - la formazione della identità maschile patriarcale - non è stata un granché alterata.
Ciò che chiediamo ai maschi, però, nel frattempo è cambiato radicalmente.
Viviamo quindi una condizione di fortissimo conflitto: stiamo continuando a educare i maschi come abbiamo sempre fatto, pretendendo che questa educazione produca esiti completamente diversi rispetto al passato, quando in molte e molti non siamo neanche così equipaggiat* per gestire questo cambiamento e ciò che comporta a livello familiare, politico, sociale.
È esaltante, perché le rivoluzioni avvengono sempre in modo caotico. Ma per mantenere il rispetto e la compassione reciproca, dobbiamo riuscire a inquadrare i problemi che stiamo affrontando e il ruolo che ciascun* di noi gioca in questo sistema, con la maggiore chiarezza possibile.
Perché il punto è che non sono solo i bambini maschi a imparare che mascolinità e relazione con le proprie emozioni non sono compatibili. Anche noi femmine lo impariamo. Il curriculum nascosto, infatti, non insegna selettivamente alle femmine o ai maschi. Insegna a tutt*. Così come gli uomini hanno imparato a valorizzare le donne solo attraverso la lente della bellezza, molte di noi hanno imparato ad essere in imbarazzo quando un uomo piange, quando manifesta troppo entusiasmo per qualcosa, quando è depresso. E - come vedremo nelle prossime puntate - le nostre aspettative nei confronti dei maschi sono così radicate che la diseducazione emotiva parte dall’infanzia.
Il 40% degli uomini, forse non sorprendentemente, non ha mai parlato a nessuno della sua salute mentale.
Dall’assenza di rappresentazione dell’emotività maschile nelle storie della nostra infanzia abbiamo imparato e abbiamo insegnato a nostra volta, per lo più senza accorgercene, che esprimere in modo ‘eccessivamente’ esplicito le proprie emozioni non è una cosa ‘da uomini’.
Infatti, un uomo che esprime in modo molto visibile le proprie emozioni, all’interno del linguaggio della tv, spessissimo viene automaticamente identificato come gay.
Non si tratta soltanto di Disney. Molti personaggi anche modernissimi sui quali si fonda il nostro concetto culturale di mascolinità, non solo rafforzano questa idea, ma vanno molto oltre gettando le basi per quella mancanza di integrità che ci preoccupa e ci fa dannare perché è uno degli ingredienti principali di quella che chiamiamo “mascolinità tossica”.
Ma di questo parliamo giovedì prossimo.
Prima di salutarvi, una piccola richiesta
Se questa newsletter vi piace, che ne direste di inoltrarla a tre amici? Ve ne sarei davvero molto grata. <3
Le tue analisi sono molto interessanti. Io fortunatamente vengo da una famiglia che mi ha educato in modo poco tradizionale e sono stato abituato da sempre a mostrare le mie emozioni, a piangere in pubblico ecc. Mi sorprende e mi dispiace che molti non riescano a farlo. Ma siamo qui per aiutare a cambiare questa traiettoria giusto? Leggo in un commento dell’Antica Grecia. Verissimo. Io sto compiendo ricerche su questo tema per un mio progetto affine (affrontato dal punto di vista maschile ma con lo stesso ambizioso traguardo) e ho scoperto che la società più moderna e paritaria a livello di genere fu quella Etrusca. Nell’antica Grecia gli uomini è’vero che mostravano le loro emozioni, ma non brilllava per parità di genere. Poi dall’Impero Romano in poi prende il via quell’impronta patriarcale che durerà fino ai giorni nostri. Un evento che analizzo nel mio blog/libro ad esempio e’quello della vittoria di Achille su Ettore. Noi a scuola siamo abituati a studiare Achille come l’eroe per eccellenza, il pelide Achille, il tallone di Achille ecc. Ma da un punto di vista diverso, quanta tossicità e violenza gratuita (tipica della mascolinità tossica) c’è nello strazio del cadavere di Ettore, umiliato da morto e portato in giro dietro la biga a sfracellarsi e maciullarsi davanti alla folla per ribadire la superiorità ultraterrena di Achille. Ecco secondo me già dai libri di storia ci viene trasmessa una mascolinità violenta, fiera di atti che sono invece terribili.
Il percorso per cambiare il modo in cui vediamo anche i miti, oltre le fiabe, e’lungo. La narrazione tradizionale è permeata di tossicità e violenza. Grazie per questo spazio di condivisione e riflessione Francesca.🙏
Le favole che citi sono state scritte in un'epoca in cui queste convinzioni erano radicate e non messe in discussione, non mi stupisco di queste analisi, o meglio, non mi stupisco che siano state scritte in questo modo. Oggi se ne parla ma i comportamenti fanno una fatica a cambiare... Se piango lo faccio in privato perché sono un uomo e mi scoccia essere visto. Eppure sono qua a leggere. Ho comprato il tuo libro, mi interesso di questi argomenti, ma sono in un certo modo prigioniero della cultura in cui sono cresciuto.