Maschio Italiano
Che cosa c’entra la storia della canottiera con l’idea che hanno all’estero dei maschi italiani, e anche con l’idea che noi abbiamo di noi stessi.
La scorsa settimana sono stata a Bruxelles e a Francoforte, e negli scorsi mesi ho fatto incontri in Danimarca, Guinea, Stati Uniti, India, Turchia. Sto avendo, insomma, la possibilità di esplorare un po’ qual è lo status del discorso sul maschile in diversi Paesi, e in molti casi anche di incontrare dal vivo gruppi di persone che si stanno interrogando su questi temi in lingue e contesti diversi.

Una delle domande che mi vengono fatte spesso è “com’è la situazione in Italia?”
Il sorprendente ruolo della canottiera nell’immaginario legato al maschio italiano
Tutte le volte che questa domanda mi è stata rivolta da stranieri, il tono e l’espressione del viso di chi mi faceva la domanda implicava l’aspettativa che stessi per dargli notizie tragiche su quanto il nostro Paese sia popolato da maschi retrogradi, violenti, e gelosi che picchiano le mogli dalla mattina alla sera con le loro canottiere bianche sporche di sugo.
Ma da dove viene questa immagine che sembra così impressa nella testa degli stranieri quando pensano ai maschi italiani?
Quello qui sotto è Marlon Brando, che nel film “Un tram che si chiama desiderio” picchia la moglie e stupra la cognata, interpretando però in quel film non un immigrato italiano, ma polacco: il nome del suo personaggio è infatti Stanley Kowalski.
L’iconica canottiera che Brando indossa in questa scena di “Un tram chiamato desiderio”, negli Stati Uniti viene ancora oggi chiamata “wife beater” - cioè “batti-moglie”. Ho pensato che le origini di questo nome fossero legate al fatto che qualche immigrato italiano negli USA fosse finito sulle pagine dei giornali per un caso di violenza domestica mentre indossava la canottiera bianca, ma anche questo si è rivelato falso.
In diversi infatti attribuiscono a un uomo americano che aveva picchiato e ucciso sua moglie nel 1947, comparendo sui giornali proprio con una canottiera macchiata di sugo, le origini di questo nome “wife beater”.
E allora? Da dove viene questa associazione?
Ho trovato in questo articolo del New York Times una possibile spiegazione: prima ancora che si diffondesse la parola “wife beater”, molti in America chiamavano le canottiere “dago tee” o “guinea tee”, che erano insulti razzisti che venivano rivolti agli immigrati italiani a metà del secolo scorso.
“Tee” significa “maglietta”.
“Dago” viene dallo spagnolo “Diego” ed è un termine dispregiativo che veniva usato per gli immigrati italiani, portoghesi e ispanici.
“Guinea” è ovviamente riferito allo stato africano, e si riferisce all’idea (diffusa ancora oggi) che gli italiani non siano “del tutto bianchi” o che comunque risultino in qualche misura sospetti rispetto all’idea anglosassone o nordica di bianchezza.
Gli immigrati italiani spesso erano poveri, e alcuni indossavano un indumento intimo senza averci sopra una camicia, per cui insultarli prendendo quella canottiera come simbolo di una identità era insieme classista e razzista (d’altra parte non ho ancora trovato istanze in cui classismo e razzismo non siano strettamente connessi).
Insomma, benché le origini del nome “wife beater” non siano necessariamente legate a un italiano, era l’indumento ad esserlo, e quello stereotipo penetrò la cultura in modo così profondo che ci facciamo i conti ancora oggi.
Tutte le volte che all’estero mi chiedono “com’è la situazione in Italia” con quella faccia contrita, mi trovo a dover dare un dispiacere a chi mi fa quella domanda aspettandosi di conoscere la risposta.
Da un punto di vista statistico, l’Italia è uno dei Paesi con il più basso tasso di omicidi in Europa: 0.48 per 100.000 abitanti. Solo il Lussemburgo ha un tasso di omicidi più basso del nostro (0.32).
Per quanto riguarda i femminicidi, una comparazione tra i diversi Stati europei è difficile, perché non tutti monitorano i femminicidi nello stesso modo, e diversi Paesi non li distinguono dagli altri tipi di omicidi. Per questa ragione, il grafico che vi metto qui sotto è necessariamente incompleto:
In ogni caso, la situazione non è quella che ci aspetteremmo, visto che la Germania, i Paesi Bassi, l’Austria hanno una incidenza maggiore di femminicidi rispetto all’Italia.
Certo, se guardiamo invece ai dati legati al mondo del lavoro, il nostro Paese è l’ultimo in Europa per quanto riguarda la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Diciamolo di nuovo: L’ULTIMO. IN. EUROPA.
Che cosa vuol dire tutto questo? Che non ci dobbiamo occupare della violenza sulle donne?
Assolutamente no.
Se lo pensassi, non passerei la stragrande maggioranza del tempo della mia vita a fare tutto ciò che posso e che so per smantellare la cultura in cui la violenza di genere affonda le sue radici.
Quello che intendo, però, è che si costruisce progresso in modo molto più efficace quando si parte da quello che c’è e non soltanto da quello che manca. È più facile pensare di dover inventare tutto da zero: esaminare la realtà e le sue criticità provando a riconoscere le cose positive richiede molta più concentrazione e soprattutto molta umiltà.
Quello che rispondo a chi mi chiede “qual è la situazione in Italia” è che la situazione è meno peggio di quello che i miei interlocutori esteri potrebbero immaginarsi, perché io sto verificando che gli uomini italiani che ho incontrato finora nel contesto di questo progetto, sono molto più aperti e pronti dei loro corrispettivi americani, o tedeschi, o danesi ad avere questa conversazione sul maschile, e sull’importanza di rivedere il modello educativo con cui sono cresciuti.
Se a questa percezione aneddotica e personale aggiungete il fatto che è in crescita il numero di padri che stanno lasciando il lavoro per occuparsi dei figli, il quadro che emerge è che ci sono degli ambiti in cui gli uomini italiani stanno cercando di interrogarsi e costruire progresso.
Uno dei punti di criticità è che, al momento, gli uomini sembrano fare fatica a condividere gli uni con gli altri queste riflessioni, e quindi la propagazione di queste idee è molto più lenta rispetto alla propagazione delle idee legate al femminismo, che intorno a 10 anni fa ha vissuto una vera e propria fiammata nel nostro Paese.
Ma la propagazione è lenta anche perché la narrazione che viene fatta dai media sul maschile è al momento focalizzata unicamente sugli esempi negativi. È evidente che sia importantissimo che si parli della violenza di genere e che se ne parli in modo adeguato, ma è altrettanto evidente che offrire rappresentazione mediatica agli uomini che stanno cercando di interloquire in modo nuovo con il maschile, e costruire una relazione più sana con il proprio essere uomini potrebbe accelerare il processo di assimilazione di questa cultura emergente.
Insomma, forse dismettere l’idea razzista degli uomini italiani come cafoni violenti e retrogradi incapaci di interrogarsi su chi sono e su quale debba essere la loro relazione con gli altri… potrebbe essere una buona idea.
Forse affrontare il tema della violenza di genere, e anche della presenza delle donne nel mondo del lavoro in modo strategico, non dicendo “è tutto sbagliato”, ma provando a identificare quali dei fenomeni positivi spontanei possano essere valorizzati e portati a sistema… potrebbe aiutarci a costruire progresso in modo più solido ed efficace. L’indignazione di solito non produce grandi risultati: rimboccarsi le maniche e cercare di capire in quali modi possiamo provare a organizzare la realtà perché si sviluppi in una direzione piuttosto che in un’altra è ciò che può davvero fare la differenza.
Per quanto mi riguarda, non è un caso che un progetto come Maschi del Futuro sia nato proprio in Italia, e sono abbastanza orgogliosa del fatto che dall’Italia stia portando una prospettiva nuova sul tema in giro per il mondo.
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti.
C’è stato un problema tecnico con il mio TEDx, che quindi è stato rimosso dalla piattaforma e ricaricato due giorni fa (con un audio molto migliorato!). Quindi se volete guardarlo lo trovate qui e se volete mettere un like, lasciare un commento o condividerlo, mi fa davvero molto piacere.
Se volete dare un contributo significativo all’emersione di una cultura del maschile nuova nel nostro Paese, regalate Storie Spaziali per Maschi del Futuro ai bambini che sono nella vostra vita.
Se volete sostenere questo progetto, potete sottoscrivere un abbonamento a pagamento (che vi dà accesso anche a tutto l’archivio) oppure offrirmi un caffè.
Se siete a Milano e volete venire a sentirmi dal vivo, vi aspetto il 27 Giugno al Milano Pride per un panel con Lorenzo Gasparini, Alessandro Giammei, e Diego Passoni, moderato da Mica Macho. Si intitola Undoing Maleness, ci trovate alle 20:15 alla Pride Square.
A giovedì!
Grazie per questa prospettiva! Qualche giorno fa ho visto uno scambio su Facebook, tra due sconosciuti nei commenti sotto a un post quindi prendila per quello che è, che però ho trovato significativo. Il post riguardava i centri estivi e la cura dei bambini d'estate. Nei commenti, una donna diceva: "i padri non ci sono mai". Le risponde un uomo che dice: "noi vorremmo esserci, ma voi non ci lasciate" e poi proseguiva dicendo che le donne nella sua vita non si fidano di lui coi bambini, lo "micromanage" in tutto e per tutto e non gli lasciano spazio di fare il padre. Purtroppo queste due persone che non si conoscevano sono passate agli insulti, peccato perché secondo me è proprio lì che ci sarebbe da ascoltare, discutere e trovare compromessi, visto che alla fine sia "lui" che "lei" vogliono la stessa cosa: che il padre sia (e possa essere) più presente.
Grazie per l'articolo che ho trovato parecchio interessante.
Personalmente faccio molta fatica a trovare situazioni e momenti in cui poter interloquire con altri maschi sui temi legati al femminismo, alla decostruzione della mascolinità tossica, ecc. A lavoro per dire mi hanno soprannominato "il suffragetto" che è una cosa che mi fa anche piacere ma denota credo anche quanto lavoro si debba fare per normalizzare certi argomenti e certe sensibilità.
Aggiungo anche che le mie ricerche per trovare gruppi di maschi con cui parlare finora non ha dato frutti di nessun tipo e sospetto che parte del problema sia che in fondo in fondo a nessuno piace sentirsi dare del "potenzialmente stupratore" il che riporta al tema dell'articolo sugli effetti negativi del concentrarsi solo sull'indignazione per cose oggettivamente e assolutamente negative da estirpare a tutti i livelli quando invece ci si potrebbe anche un po' focalizzare sulle opportunità di crescita.
Last but not least: mia moglie è un'esperta mondiale in micromanagement quando si parla della figlia il che ha generato numerose discussioni anche parecchio accese. E' un'area in cui cerco (a volte con fatica) di arrivare all'accettazione di quel che è.