Come si insegna il consenso ai bambini?
Una legge può cambiare in una notte, ma il cambiamento culturale si costruisce un gesto alla volta.
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In Italia, grazie a un accordo bipartisan, sta cambiando la legge sullo stupro, e - secondo me - non siamo pronti per questo cambiamento.
Leggo su Il Sole 24 Ore un pezzo di Manuela Perrone:
Il salto è notevole. L’articolo vigente del Codice penale si limita, infatti, a prevedere che «chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni». Nella riscrittura proposta alla Camera, l’uso della forza e della coercizione come elementi in grado di qualificare il reato restano intatti, ma il consenso entra in gioco come fattore dirimente. E la novità farà allineare l’Italia ai migliori standard europei. Il 29 ottobre era stato il Parlamento francese ad adottare un provvedimento nella stessa direzione, stabilendo come qualsiasi atto non consensuale sia stupro. Secondo la norma, il “sì” deve essere «libero e informato, specifico, preliminare e revocabile» e non può «essere dedotto dal solo silenzio o dalla sola assenza di reazione della vittima». Prima della Francia, avevano provveduto a legare al reato di violenza l’assenza di consenso Spagna, Belgio, Germania, Irlanda, Svezia, Danimarca, Grecia e Olanda.
Questo cambiamento della norma segnala una svolta epocale nel modo in cui finora abbiamo inteso lo svolgimento di un incontro sessuale.
Io ho 42 anni. Sono cresciuta vedendo al cinema e in televisione innumerevoli scene in cui lei resiste all’inizio e lui insiste, fino a vincere le resistenze di lei e avere un rapporto straordinariamente appagante per entrambi, e romantico, che li unirà per sempre.
Finora, abbiamo pensato che insegnare il consenso volesse dire insegnare ai maschi che “no significa no”. Da oggi, questo non è più sufficiente.
Potremmo pensare che il cambiamento della legge sullo stupro sia un punto d’arrivo, ma in realtà si tratta di un punto di partenza.
Siamo abituati a pensare allo stupro come al delinquente che aggredisce un’estranea per strada, ma sappiamo che la stragrande maggioranza degli stupri (il 62%) avviene tra persone che si conoscono. Sappiamo che un numero importante di questi stupri avviene per l’incapacità di una delle persone coinvolte di ascoltare o interpretare correttamente i segnali che arrivano dall’altra/o.
È forte, a questo punto, la tentazione di interpretare il consenso come un dispositivo tecnico, una formula da applicare. La realtà è che il consenso è una competenza relazionale della quale moltissimi tra noi, al momento, sono sprovvisti.
Noi adulti (tutte e tutti, non solo gli uomini) oggi siamo chiamati a sviluppare questa competenza, e quelli di noi che hanno la responsabilità di educare bambini/e e ragazzi/e hanno una responsabilità doppia.
Che c’entrano le donne?
Sì, perché questo cambio di paradigma sul consenso non riguarda solo gli uomini: interroga anche noi. Prima di tutto perché imparare a rispettare l’autonomia del corpo degli altri ci riguarda tutte e tutti.
E poi perché per generazioni ci è stato insegnato che una donna “perbene” deve esprimere il desiderio negandolo, ritrarsi, lasciare che sia l’altro a interpretare i segnali. Oggi, invece, abbiamo davanti una responsabilità nuova e complessa: assumerci la responsabilità del nostro desiderio.
Non è facile.
Per molte di noi non è mai stato legittimo dire “voglio questo”, “questo non lo voglio”, “questo lo voglio così”.
Questa legge ci dice con chiarezza che consenso non è soltanto il diritto di dire no.
È anche — e soprattutto — la possibilità di dire sì senza vergogna. È la libertà di formulare un desiderio senza temere di essere giudicate, svalutate, ridicolizzate. È la maturità di riconoscere che non serve attendere che l’altro “capisca da solo”: possiamo chiedere, possiamo proporre, possiamo guidare.
Educare al consenso significa allora anche questo: mostrare ai bambini e alle bambine cosa significa essere adulti che non hanno paura del proprio desiderio, né di quello degli altri.
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Come si insegna dunque il consenso a bambini e bambine?
La prima cosa da fare è liberarsi di un equivoco molto diffuso: parlare di consenso non equivale a parlare di sesso. Il tema del consenso è molto più ampio di quello del sesso, per cui può e deve essere affrontato non solo con gli adolescenti, ma anche con i bambini più piccoli.
Educare al consenso significa educare alla relazione con se stessi e con gli altri.
È un tema di libertà, di autonomia, di confini, di fiducia.
Bisogna educare al consenso senza paura.
Vi faccio un esempio. Se vostro figlio strappa un giocattolo a una bambina dopo che lei gli ha detto che non voleva darglielo… non c’è bisogno di gridargli allarmati “NO SIGNIFICA NO!”.
Parlare di consenso *NON* significa guardare i nostri figli come se fossero potenziali stupratori.
Ecco qui 5 pratiche che possono aiutarvi a insegnare il consenso in modo positivo:
Insegnate a bambini e bambine i nomi veri delle parti del loro corpo fin da piccoli e non usate nomignoli per pene, vulva o vagina. Vi sembrerà strano, ma è importante che non crescano con l’idea che quello che riguarda le proprie parti intime è un tabù (ossia qualcosa di cui non si può parlare). Se i bambini capiscono che non hanno nulla di cui vergognarsi, nel caso in cui fossero esposti a un abuso, avranno molti meno problemi a parlarvene, perché non sentiranno il peso di dovervi dire qualcosa che non volete sentire/nominare.
Insegnate ai bambini che il corpo è loro e possono decidere liberamente se abbracciare o baciare qualcuno, compresi voi genitori! Non chiedete ai bambini baci o abbracci come merce di scambio “ti faccio giocare con quel gioco se mi dai un bacio, oppure abbracciami e ti faccio guardare la tv”. Questa potrà essere una cosa difficile da insegnare a nonni o parenti, ma è molto importante. Un bambino che capisce di avere la libertà di disporre del suo corpo, accetterà col tempo più facilmente l’idea che anche gli altri sono liberi di disporre del proprio corpo.
Allenate i muscoli dell’empatia. “La bambina a cui hai strappato il gioco mi è sembrata triste, l’hai notato?” Il punto non è far sentire i bambini responsabili degli stati d’animo degli altri (soprattutto non dei vostri), ma aiutarli a rendersi conto di come le loro azioni hanno un effetto su chi gli sta intorno. Tra l’altro è fondamentale evidenziare non solo i momenti “negativi”, ma anche quelli positivi: “hai notato come era felice la zia quando l’hai aiutata a fare i biscotti?” - “era difficile chiedere scusa dopo aver spinto quel bambino, sei stato molto coraggioso”.
Non rendete “chiedere il permesso” una pratica umiliante. Purtroppo, per alcuni genitori molto autoritari, l’obbligo di chiedere il permesso è un modo di far sentire al bambino che la sua autonomia dipende da qualcuno più potente di lui. Obbligare i bambini a chiedere il permesso per fare cose banali, è un modo di schiacciarli con la propria autorità e insegna loro non ad essere ubbidienti, ma a desiderare un giorno di essere liberi da quel giogo, di non dover chiedere nulla a nessuno perché così finalmente potranno sfuggire a quella umiliazione.
Insegnate loro la gioia delle relazioni consensuali, e rendete il consenso un gioco. “Posso darle un bacio a sorpresa sulla nuca nei prossimi 10 secondi, signor Gabriele?” è un gioco molto divertente con tante variazioni che faccio con un mio piccolo amico tra tante risate.
Il punto è che il consenso non è un protocollo di sicurezza.
È un modo di stare al mondo.
Per questo, nella storia “Il Pianeta dei Pirati” di Storie Spaziali per Maschi del Futuro, c’è questo passaggio:
Non si insegna terrorizzando i bambini rispetto ai pericoli, ma accompagnandoli nella scoperta meravigliosa che il loro corpo ha diritto a essere ascoltato, rispettato, celebrato — e che anche gli altri funzionano nello stesso modo.
Il consenso non crea distanza: crea fiducia.
Non limita il desiderio: gli dà una forma più limpida.
Non toglie spontaneità: la rende più sicura per tutti.
E allora la domanda iniziale — come si insegna il consenso ai bambini? — ha una risposta semplice, ma non banale:
Si insegna nel gioco, nella cura, nell’attenzione.
Si insegna osservando come parlano i loro corpi, e mostrando loro che anche noi adulti abbiamo confini, desideri, esitazioni.
Si insegna col tono della voce, con le piccole scelte, con le occasioni quotidiane in cui una relazione può diventare più gentile, più libera, più reciproca.
Non facciamolo perché temiamo il peggio.
Facciamolo perché desideriamo il meglio:
che crescano sapendo che la loro libertà non finisce dove inizia quella degli altri, ma che su quel confine vivo può cominciare la parte più creativa e sorprendente della vita insieme.
A giovedì!
Undercats Studios
In questi giorni è successa una cosa importante. Ho inaugurato gli Undercats Studios (se ti va lo trovi su Instagram), uno studio a Roma dal quale produrrò le nuove fasi di Maschi del Futuro, e che vorrei diventasse uno spazio di riferimento per gli artisti che hanno voglia di cimentarsi con l’autoproduzione. Undercats è stato il brand con cui ho pubblicato tutti i miei progetti dal 2019 a oggi: chi di voi lo conosce, lo conosce soprattutto per i libri per l’infanzia e per il podcast sulla storia dell’energia Scintille (se non lo conoscete… recuperatelo!).
Da oggi, diventa qualcosa in più. Uno studio di registrazione e uno spazio eventi tra la stazione Termini e il Colosseo.
Questa newsletter la scrivo dalla mia nuova scrivania, pensata apposta per chi non si vergogna di far vedere le cose quando sono ancora in costruzione :-)






Grazie per aver iniziato a trattare questo argomento così importante. Io mi sono resa conto solo di recente ascoltando una puntata di un podcast su minori e consenso (https://open.spotify.com/episode/4lrgo0JnlgCDa0VVA2tgIV?si=toTDu61ORbig00iuSU_hHQ) di aver sempre "imposto" baci e abbracci ai miei nipoti senza essermi mai posta il problema se fossero davvero apprezzati. Da allora sto cercando di cambiare, chiedendo loro il permesso. Non è facile perché mi rendo conto che è un' abitudine ormai radicata
Sono appena tornata da un workshop organizzato dal centro LGBTQ+ della mia città: si intitolava proprio "Oltre il sì e il no" e quello che leggo in questa tua newsletter si lega tantissimo alle conversazioni e agli esercizi che abbiamo fatto questa sera. Che si abbiano o meno persone piccole nella propria vita, ripensare e ampliare il concetto di consenso è fondamentale. Renderlo un discorso trasversale, una responsabilità condivisa in ogni relazione. Questo primo passo italiano è importantissimo ma è solo l'inizio, ripetiamolo più che possiamo. Grazie per aver detto tutto così bene.