Possiamo fidarci dei maschi?
La fiducia di noi donne è stata tradita troppe volte. Gli uomini si sentono guardati solo come potenziali sospetti. È possibile mettere da parte la nostra diffidenza reciproca e parlarci davvero?
Benvenuti nella versione estiva di Maschi del Futuro, in cui vi ripropongo alcuni degli episodi usciti nell’ultimo anno e mezzo. Il numero che leggete qui sotto è dell’11 Gennaio del 2024, ed è uno dei primi post della newsletter, in cui spiego lo spirito con cui è nato questo progetto.
La tribù degli Ojibwe è la più numerosa popolazione indigena del Nord America.
Stavo ascoltando una bellissima intervista all’autore di origini Ojibwe James Vukelich Kaagegaabaw nel podcast Good Life Project, quando mi sono imbattuta nella parola che questo popolo usa per dire “coraggio”.
zoongide'ewin - la cui traduzione letterale è “qui c’è colei che ha un cuore forte”
La storia della parola ricostruita nell’intervista dall’autore risale a un episodio del 1862 quando l’esercito americano invase un villaggio Dakota (una tribù rivale degli Ojibwe con cui i Dakota erano in guerra da ‘100 inverni’). Durante la devastazione del villaggio da parte dei soldati, una donna si nascose immergendosi completamente in un lago vicino, dove rimase sott’acqua per tre giorni e tre notti, respirando solo attraverso una canna di bambù.
Durante questi tre giorni, uno spirito visitò la donna e le disse di quanto fosse deluso dal modo in cui gli esseri umani stavano vivendo la loro vita, in guerra non solo con gli americani, ma anche con le tribù vicine. C’era da costruire un tamburo, lo spirito disse, e da donarlo agli Ojibwe, solo così si sarebbe ristabilita la pace.
La donna riportò il messaggio al popolo Dakota che costruì il tamburo (‘lo strumento che fa il suono del cuore’ nella lingua Ojibwe) e lo offrì ai suoi nemici, i quali lo accettarono e sedettero intorno al fuoco insieme per la prima volta in 100 inverni per fumare la pipa della pace.
Il coraggio, dunque, per gli Ojibwe non sta nell’andare in battaglia sprezzanti della morte, non sta nel fare giustizia a costo anche della propria vita. Per gli Ojibwe la forma più alta di coraggio è l’apertura del proprio cuore alla possibilità della pace.
È un concetto paradossale. Perché il nostro istinto va da un’altra parte.
In un Paese in cui una donna viene ammazzata ogni tre giorni.
In un Paese in cui le donne vengono pagate meno degli uomini.
In un Paese in cui per le donne è molto più difficile trovare lavoro, e molto più facile essere licenziate.
In un Paese in cui la magistratura ha ancora enormi problemi a comprendere concetti basilari come il consenso.
In un Paese in cui i giornali fanno una fatica incredibile a parlare dei femminicidi in modo adeguato.
In un Paese in cui purtroppo troppe persone si rifiutano di guardare in faccia il fenomeno della violenza maschile per l’epidemia che è.
Come si può provare compassione per gli uomini?
Non è pericoloso?
Sbagliato?
Stupido?
Non lo so. In tutta sincerità, io non lo so.
So però che trovo il modo in cui parliamo della violenza maschile completamente inadeguato a trovare una soluzione al problema. E so che invece provare a trovare una soluzione è importante, fondamentale, necessario. Necessario come lo è una cosa che può salvare la vita delle persone.
So che interrogarci a fondo sul tema della violenza maschile non può voler dire guardare tutti gli uomini con sospetto. So di non voler vivere in un Paese in cui una metà della popolazione guarda l’altra metà come se fosse composta da potenziali assassini. Penso che nessuno ci voglia vivere in un Paese così.
‘Siete tutti responsabili’: il problema del senso di colpa
Poco più di un anno fa, alle prese con un problema di salute che mi ha costretta a ridurre drasticamente i miei impegni esterni, mi sono messa a studiare per provare a vedere se potevo sporgermi e provare a guardare dentro il canyon che separa una terra spaccata in due: da una parte i moltissimi che negano l’esistenza di un problema gigantesco. Dall’altra le tante di noi che stanno cercando di fare qualcosa, ma si scontrano con la paura, con la mancanza di fiducia, con il fatto di essere state tradite, zittite, messe ai margini troppe volte e che non trovano la forza di provare compassione per quelli che ormai vedono solo come i propri aguzzini.
E poi i maschi.
Non tantissimi, ma ci sono. Quelli che stanno cercando uno spazio nuovo per conoscere se stessi e il mondo intorno, ma che spesso si sentono schiacchiati tra la mancanza di strumenti degli altri maschi intorno a loro, e il fatto che l’unico altro spazio che sembra possibile abitare è quello del senso di colpa, della coda tra le gambe, della testa bassa.
Il senso di colpa però, lo sappiamo, non è mai stato un motore di rivoluzione.
Ciò che il senso di colpa alimenta, in genere, è l’ipocrisia.
In preda al senso di colpa, gli uomini - forse - possono imparare a usare le parole che gli insegniamo, possono andare sui giornali a rilasciare interviste quando assumono una donna incinta, possono perfino votare una donna premier… ma l’oppressione, la sopraffazione, troveranno il modo di riapparire sotto mentite spoglie perché il senso di colpa questo fa: castiga l’espressione di un gesto, ma non spinge nessuno a indagare sulle origini di quel gesto. Anzi. Il senso di colpa ci spinge a voler indagare il meno possibile, perché instilla in noi il terrore che più indaghiamo… maggiore sarà la colpa che troveremo, e con cui dovremo fare i conti.
C’è anche un altro problema legato al senso di colpa e ha a che fare coi bambini
Il mio è un punto di vista privilegiato, perché io - a differenza di tante mie compagne in questa battaglia - per mestiere scrivo storie per bambini. E provare compassione per i bambini è molto più facile che provarla per gli adulti. A un certo punto, infatti, io mi sono sentita ingiusta nei confronti dei miei piccoli lettori maschi.
Se pensiamo che essere maschi in modo automatico ti renda responsabile dell’oppressione femminile… stiamo dicendo che anche i bambini maschi sono complici? A che età si entra nelle fila del nemico? E ancora: i bambini maschi sono programmati geneticamente per diventare oppressori oppure… siamo noi a insegnargli - senza accorgercene - che mascolinità e sopraffazione sono due facce della stessa medaglia?
Quando si è trattato di scrivere ‘bambine ribelli’ non ho avuto dubbi sul fatto che eravamo noi ad aver creato una cultura della subalternità, e che la stavamo chiamando ‘natura’.
È possibile che allo stesso modo siamo noi, uomini e donne, che stiamo insegnando ai maschi una cultura della apatia e della sopraffazione? È possibile disimpararla questa cultura e smettere di trasmetterla?
Ho iniziato la mia esplorazione da un meraviglioso libro di bell hooks che si intitola La volontà di cambiare: mascolinità e amore.
Tra le prime pagine del libro, bell hooks riporta le parole di Barbara Deming, femminista americana, lesbica e sostenitrice della lotta non-violenta, morta nel 1984:
Mi preoccupa che sempre più donne sentano, ed esprimano la convinzione che gli uomini come genere siano senza speranza. Credo che guardare in faccia la verità dei sentimenti che proviamo sia l’unico modo per arrivare alla meta, anche quando è difficile ammettere a noi stesse ciò che stiamo provando. Dobbiamo ammettere che certe volte desideriamo che i nostri padri, i nostri figli, i nostri fratelli, i nostri partner… spariscano. Ma accanto a questa verità ce n’è un’altra: il pensiero della loro sparizione ci dà angoscia.
Io non credo che gli uomini siano senza speranza.
Non credo neanche che siano gli unici responsabili della cultura patriarcale.
Credo che le donne abbiano avuto l’occasione (per quanto mi riguarda lo considero un privilegio) di riflettere più approfonditamente sulle dinamiche alla base del patriarcato, e su se stesse.
E che gli strumenti che ci ha messo a disposizione il femminismo siano utili nella misura in cui ci consentono di guardare dentro noi stess* e nella relazione con gli altri con una compassione e un amore radicali.
Gli uomini hanno innegabilmente la stragrande maggioranza del potere politico, economico e religioso nel mondo. E stanno pagando per quel potere con la propria vita, molto più di quanto pensano.
In ciascun numero di questa newsletter proverò ad analizzare un aspetto di quella cultura che ci ha convint*, tutte e tutti, della necessità del superomismo maschile. Parleremo di Achille, del padre di Biancaneve, di Batman, di 007, di don Giovanni, di Don Draper, di Harvey Specter… ma anche del fatto che - conti alla mano -il patriarcato uccide le donne, certo. Ma uccide anche gli uomini in numeri molto maggiori di quelli che ci aspettiamo, e crea una pressione insostenibile della quale tutt* - forse - potremmo anche fare a meno.
La mia speranza nell’iniziare questo progetto è che possiamo scegliere con più amore e consapevolezza l’eredità culturale che passiamo alle nuove generazioni di bambini e bambine.
Fumare la pipa della pace era un modo per le popolazioni indigene americane di ricordare che tutte le persone sedute intorno al fuoco respiravano la stessa aria. Suonare il tamburo insieme serviva a ricordare: “il nostro cuore batte allo stesso modo”.
Mi sembrava un bel suono dal quale iniziare.
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Oppure acquistate una copia di Storie Spaziali per Maschi del Futuro! Chi l’ha detto che le fiabe si possono leggere solo da bambini? Che effetto fa leggerle da adulti? Vi assicuro che è interessante scoprirlo.
Oppure offrimi una pizza!
A giovedì.
Tra bell hooks, Rebecca Solnit e FB "Mia moglie", credo che questa lettura sia pacatamente illuminante...grazie
We really have gone off track between the sexes. Women carry the biggest burden in their lives for the sake of society. Men need to grow up!