Valditara e un decreto pieno di tabù
L'educazione sessuo-affettiva si può ancora fare, anche se il governo si mette di traverso
Nelle ultime settimane è scoppiata una bufera sul decreto Valditara che, accogliendo un emendamento proposto dalla deputata leghista Giorgia Latini, esclude esplicitamente attività educative “aventi ad oggetto temi attinenti all’ambito della sessualità” nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado.
Nell’episodio di oggi, mi interessa fare un po’ di chiarezza e rispondere ad alcune domande come:
È vero che adesso è vietato fare educazione sessuo-affettiva nelle scuole?
L’educazione sessuo-affettiva previene o no i femminicidi?
Insegnare il “rispetto della donna” e fare educazione alle relazioni è la stessa cosa?
Ho scoperto alcune cose interessanti che voglio condividere con voi.
Il primo aspetto su cui mi sono concentrata è la contraddizione tra il decreto Valditara e il curriculum scolastico italiano.
Nel sistema scolastico italiano, abbiamo due livelli di norme:
a. Norme generali sull’istruzione (Leggi o decreti che stabiliscono principi generali, come il decreto Valditara)
b. Indicazioni nazionali per il curricolo (Atto tecnico-pedagogico ministeriale che definisce cosa si insegna in ciascun ciclo)
Le Indicazioni nazionali non sono leggi, ma sono vincolanti per le scuole: definiscono gli obiettivi curricolari disciplinari (es. scienze).
Il decreto Valditara invece è una norma generale, che regola il quadro delle attività didattiche e progettuali.
Cosa dicono questi due testi per quanto riguarda la questione “sessualità”?
Nelle indicazioni nazionali, come ricorda Valditara stesso, la parola “sessualità” fa parte del curriculum:
Scuola primaria → obiettivo: “acquisire le prime informazioni sulla riproduzione e la sessualità”
Scuola secondaria di primo grado → obiettivo: “acquisire corrette informazioni sullo sviluppo puberale e la sessualità”
Il decreto Valditara, però, nell’articolo 1 comma 5 dice che:
“le attività didattiche e progettuali … aventi ad oggetto temi attinenti all’ambito della sessualità sono in ogni caso escluse per la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado.”
Se le Indicazioni nazionali continuano a includere “riproduzione e sessualità” tra gli obiettivi, e il decreto esclude ogni attività su temi attinenti alla sessualità, allora:
o il decreto è in contraddizione con le Indicazioni nazionali,
oppure l’esclusione del decreto non riguarda le lezioni curricolari di scienze, ma solo le attività progettuali extra
Il decreto non definisce cosa rientri nell’ambito “sessualità” e non potrebbe farlo perché la competenza statale in materia di norme generali sull’istruzione non consente di interferire direttamente con i contenuti curricolari, che sono atti di natura tecnica e didattica.
Se l’art. 1, co. 5 del decreto Valditara fosse interpretato come divieto anche per i contenuti curricolari, saremmo di fronte a un eccesso di potere legislativo e a un conflitto con l’art. 33 Cost. relativo alla libertà di insegnamento.
Di conseguenza, se sei un’insegnante o una preside che offre all’interno della propria scuola dei percorsi curricolari di educazione sessuo-affettiva in linea con gli standard internazionali definiti da organizzazioni come Unesco, OMS, Who, Ippf… puoi continuare a farlo.
L’obiettivo del decreto Valditara è quello di avere un effetto deterrente, ma è molto importante non farsi scoraggiare.
Il primato educativo della famiglia
Il decreto Valditara ribadisce il “primato educativo della famiglia” come principio alla base di queste disposizioni tecnicamente oscurantiste. E questo è un altro punto del quale trovo molto interessante parlare.
Che cosa vuol dire, in concreto, che la famiglia ha un “primato educativo”?
La scuola esce degradata da questa impostazione, ne esce descritta come una specie di parcheggio dentro cui i genitori depositano i figli mentre vanno a lavorare, rassicurati dal ministro che la scuola non gli insegnerà nulla che non insegnerebbero anche loro. Ma è questo davvero ciò che vogliamo dalla scuola?
Che ne è della responsabilità che lo Stato ha nei confronti degli studenti?
Che ne è della visione della scuola come motore primario di uguaglianza, come mezzo attraverso cui i cittadini più giovani hanno l’occasione di colmare le differenze di nascita per costruirsi un futuro da cittadine e cittadini liberi e consapevoli?
Nella situazione descritta dal Ministro, i bambini che nascono in famiglie equipaggiate per parlare di questi argomenti in modo sereno e consapevole non saranno avvantaggiati soltanto nel privato delle loro case, ma anche a scuola.
I bambini e le ragazze che nasceranno in famiglie in cui di questi temi non si parla o se ne parla male, magari replicando dannosi stereotipi di genere, non potranno sperare di trovare nella scuola una cruciale opportunità di emancipazione.
In questa interpretazione del “ministero del merito”, lo Stato si limita a registrare e amplificare le differenze di nascita dei cittadini, invece che a dare loro gli strumenti per raggiungere appieno il proprio potenziale umano.
Il decreto che elenca le cose di cui non si deve parlare
La violenza e l’abuso prosperano nel “non detto”.
Una educazione comprensiva alla sessualità e all’affettività comporta primariamente il superamento dei tabù che ancora oggi informano un pezzo enorme del modo in cui bambini e ragazzi incontrano questi argomenti. Non può esserci una vera educazione sessuo-affettiva in presenza di tabù, e questo è l’aspetto più contraddittorio del decreto: Valditara non sta cercando di ampliare quello di cui si può parlare a scuola, sta cercando di circoscriverlo ulteriormente.
Il “rispetto della donna” non si insegna per decreto
Quando il Ministro parla di “rispetto della donna”, sembra immaginare una lezione frontale in cui l’insegnante dice ai maschi di comportarsi bene con le femmine.
Ma il rispetto non è un’istruzione morale che si trasmette dall’alto.
È una competenza relazionale che nasce dalla conoscenza di sé, dal contatto con le proprie emozioni, dal riconoscimento dei propri limiti e dal rispetto del corpo e del consenso degli altri.
L’educazione sessuo-affettiva serve a questo: a rendere visibili le dinamiche di potere, le paure, le fragilità, e a dare ai ragazzi e alle ragazze strumenti per navigarle senza violenza.
Ridurre tutto al “rispetto della donna” significa non capire che il problema non è solo come gli uomini trattano le donne, ma come uomini e donne imparano a stare insieme in una società in rapido cambiamento.
Oltre la violenza: gli effetti sistemici dell’educazione sessuo-affettiva
Guardare all’educazione sessuo-affettiva solo come strumento di prevenzione della violenza è riduttivo.
I suoi effetti più profondi si vedono altrove: nella parità di genere, nell’economia e nella qualità delle relazioni.
Nei Paesi dove questi programmi sono parte stabile del percorso scolastico (Svezia, Olanda, Spagna, Germania), la correlazione più forte non è con il numero di femminicidi, ma con tassi più alti di partecipazione femminile al lavoro, minori divari salariali, maggiore benessere relazionale e minori tassi di depressione giovanile.
Perché quando una società educa alla reciprocità, al consenso, alla cura e alla comunicazione, forma persone più libere, più empatiche e più produttive.
Il Fondo Monetario Internazionale stima che, se l’Italia colmasse il suo divario di genere nell’occupazione, il PIL crescerebbe di circa 9 punti percentuali.
Eppure, secondo l’ultimo rapporto EIGE, siamo terzultimi in Europa per uguaglianza di genere, e le nostre ragazze sono tra le più insicure d’Europa rispetto alla propria immagine corporea e al ruolo sociale.
Questi numeri ci dicono che non stiamo solo parlando di sesso, che non stiamo parlando solo di violenza, ma del futuro del nostro Paese e di come prepariamo le nuove generazioni a costruire relazioni sane, a condividere responsabilità, a diventare cittadini consapevoli in una società che cambia.
Conclusione
Il decreto Valditara non nasce per proteggere i bambini: nasce per proteggere un tabù.
Un tabù che impedisce di nominare il desiderio, la vulnerabilità, il corpo, la tenerezza - cioè tutto ciò che rende possibile l’amore e, di conseguenza, il rispetto.
Ma educare non è censurare, è illuminare: dare parole, contesto e dignità a ciò che già esiste nella vita dei ragazzi.
Per questo la scuola non dovrebbe essere un luogo in cui si tace per paura di offendere i genitori, ma uno spazio in cui si impara a stare al mondo insieme, con rispetto, libertà e conoscenza.
A giovedì!
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PS: Ringrazio
per aver fatto brainstorming con me ieri per capire meglio alcune delle questioni affrontate nel post!



Francesca non so dirti quanto ti stimo e ti apprezzo quando scrivi numeri come questo. Anche io sto preparando un’uscita dedicata tutta a questo tema e leggendoti riconosco una comunanza di intenzioni (una corrispondenza d’amorosi sensi, LOL) che mi fa sentire meno solo. Ah, e grazie per la disamina legale, questi tecnicismi su leggi e indicazioni nazionali non sono certo chiare a tutti!
Grazie a te, è stato prezioso confrontarsi anche sui dubbi.