È più facile parlare di maschi nei Paesi machisti
C'è un lato positivo inaspettato nell'essere mammoni?
È stato un anno intensissimo. Sono stata in Thailandia, negli Stati Uniti, in Austria, in Germania, in Cile, in Argentina, in Uruguay, nel Regno Unito. Ho fatto incontri da remoto anche con gruppi in Danimarca, Australia e Spagna.
La cosa che mi ha colpito di più è stata rendermi conto che i Paesi cosiddetti “latini”, quelli che si descrivono come maggiormente “machisti”, sono proprio quelli in cui avere una conversazione profonda sul maschile è più facile.
Non voglio sembrare troppo fricchettona, ma quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, ho sentito che c’era una dimensione di scambio fisico profondo che si attivava quando raccontavo di persona, quando le persone che avevo davanti a me potevano non solo ascoltare la mia voce, ma sentire la mia presenza, e io potevo sentire la loro.
Il miglior modo in cui riesco a descrivere la sensazione è che quando questa condivisione si attiva, sento che la prospettiva che porto “atterra nel cuore delle persone”; la sento proprio posarsi.
Ebbene, questa esperienza è stata significativamente più forte nei Paesi latini: in Italia certamente, ma anche in Sud America. Posti in cui non c’è stata solo un’attivazione intellettuale rispetto ai contenuti del progetto, ma anche un moto del cuore.
L’impressione che mi porto a casa da quest’anno di conversazioni sul maschile in giro per il mondo è che, per i maschi latini, la connessione con il proprio bambino interiore e con la propria vita emotiva profonda sia in qualche modo più accessibile.
Dal punto di vista psicanalitico, molti hanno indagato la differenza tra il sistema relazionale nordico - che prevede una separazione precoce dalla madre - e quello latino (Italia, Spagna, Sud America), in cui madre e bambino restano un’unica unità per tutta la vita.
Un progetto sostenuto da lettrici e lettori che vuole andare ancora più lontano
Nelle ultime settimane, decine di voi hanno sottoscritto un abbonamento premium a Maschi del Futuro. Siamo arrivati a 430 abbonati premium, grazie! Ci serve arrivare a 450 per rendere sostenibile la produzione di Maschi del Futuro come videopodcast che vorrei far partire all’inizio del 2026.
Sottoscrivi oggi un abbonamento premium e sblocca tutto l’archivio di Maschi del Futuro. Potrai per esempio leggere uno dei pezzi più amati in questi due anni: Le Madri nel Patriarcato, oppure Non dirlo a papà.
Lo psicoanalista argentino Enrique Pichon-Rivière descriveva questo legame come un “nucleo fusionale che resiste al tempo”, capace di mantenere negli uomini un contatto più diretto con le emozioni primarie, anche quando l’età adulta li spinge altrove.
E questa differenza non è un dettaglio. Plasma in profondità il modo in cui gli uomini vivono il mondo: come amano, come soffrono, come entrano in relazione, come si proteggono e — cosa per me sempre più evidente — come rispondono quando parliamo di maschile.
Nel Nord Europa — e, più in generale, in quei contesti che hanno interiorizzato l’etica coloniale della razionalità e dell’autosufficienza — il contenimento emotivo è considerato una virtù. La psicoanalista Silvia Bleichmar lo definiva come il risultato di un’educazione in cui “l’affetto deve essere trattenuto per poter essere riconosciuto come adulto”.
Nei contesti in cui la separazione dall’affetto parentale è parte integrante dell’educazione alla vita, la costruzione dell’identità maschile passa presto attraverso il distacco, l’autonomia, la regolazione individuale. È un modello che funziona molto bene per tanti aspetti, ma che spesso lascia gli uomini più soli dentro le proprie emozioni. Più competenti nella gestione, forse, ma meno abituati a far parlare il cuore in pubblico, soprattutto quando l’individualismo e l’autosufficienza vengono esasperati dal sistema capitalista.
Nel mondo latino, invece, la madre non è soltanto una figura affettiva: è un territorio relazionale che consente agli uomini di continuare, anche da adulti, a frequentare una vulnerabilità emotiva che altrove è tabù.
Qui torna utile anche la lettura di Massimo Recalcati, che parla della madre mediterranea come di “una presenza senza sottrazione”: un legame che può creare complicazioni, certo, ma che conserva un’intensità emotiva rara, e che permette agli uomini di restare in contatto con parti profonde di sé.
Mi è capitato di sentire madri che accoglievano la richiesta di coccole, ma anche i momenti di cedimento dei propri figli adulti, e che nello stesso momento in cui offrivano loro il comfort così necessario dicevano: “Non farti vedere così da tua moglie”.
Un legame di questo tipo, lo sappiamo, produce molti problemi. Ma dà spazio anche a una porosità emotiva, a una capacità di riconoscere ciò che succede sotto la superficie, che in altri contesti si smarrisce.
Forse è per questo che, quando, in Italia o in Sud America, parlavo di maschile, non vedevo soltanto teste che capivano: sentivo petti che si aprivano.
C’è stato chi mi ha detto: “È stato come se quello che dicevi lo sapessi già, e tu me lo hai ricordato”. E chi ha detto: “mi hai fatto piangere, e ci vuole tanto per far piangere uno stronzo come me”. C’è stato anche chi, dopo la presentazione, mi si è avvicinato con una genuina confusione negli occhi: “pensavo che ci avresti trattati male”. E chi ha confessato: “ero venuto per litigare, ma adesso non so che dire”.
Quello che ho visto quest’anno è che questa accessibilità emotiva non rende gli uomini latini “più maturi” o “meno problematici” — niente affatto. Ma li rende più disponibili a una conversazione profonda sul maschile.
E questa è una differenza culturale enorme.
Perché nei Paesi nordici, dove la separazione e l’autonomia sono valori fondanti, spesso per parlare di maschile bisogna superare l’idea che le emozioni siano un affare privato.
Nel Nord Europa, infatti, il contenimento emotivo è una competenza appresa: un segno di maturità. La capacità di non “eccedere”, di non disturbare, di non mostrare ciò che si prova è parte integrante dell’educazione, un’eredità culturale che ha trasformato la regolazione delle emozioni in un criterio di civiltà. Non è che gli uomini sentano meno: semplicemente sono addestrati a non farlo vedere.
Ed è proprio questa competenza che, quando si parla di maschile, spesso va scardinata. Bisogna aprire una crepa nella corazza della compostezza, dell’autosufficienza, di quel “sto bene” che è una forma educata di silenzio. Non perché quel modello sia sbagliato, ma perché è stato costruito per un mondo in cui l’emozione era vista come un problema da contenere, non come una risorsa per costruire legami e significato.
Nei Paesi latini, invece, bisogna scardinare altre cose: l’irrisolto familiare, l’invisibilità del padre, la fusione con la madre, la paura del giudizio. Ma non bisogna convincere gli uomini che la vulnerabilità esiste. Lo sanno già. È lì, vicino alla pelle.
Paradossalmente, questo rende la conversazione più fertile, più vera, più rapida.
E allora penso che i Paesi latini - proprio quelli che spesso vengono descritti come “indietro”, “machisti”, “arretrati” - possano essere il luogo da cui parte un nuovo modello di maschile.
Non un maschile più “buono”. Ma un maschile più onesto, più capace di stare nel cuore senza vergognarsi, più vicino all’umano.
E forse è per questo che, viaggiando, ho sentito così chiaramente che la rivoluzione culturale che stiamo costruendo insieme non arriverà dai Paesi che finora abbiamo considerato più “avanzati”.
Il patriarcato è in larga parte un costrutto coloniale. È il dispositivo che ha generato e giustificato il colonialismo, che ha imposto gerarchie di valore, di genere, di razza, di potere. È un sistema che ha definito la forza come superiorità, la vulnerabilità come debolezza, il controllo emotivo come prova di civiltà.
Forse, allora, non è poi una sorpresa il fatto che questa rivoluzione culturale non stia germogliando nei luoghi che hanno costruito quel sistema e che ne hanno maggiormente beneficiato. Nei luoghi in cui la modernità non ha cancellato del tutto la prossimità emotiva.
Forse non è una sorpresa che la rivoluzione del maschile stia iniziando proprio lì: nei Paesi che la storia ha raccontato come fragili, ma che fragili non sono affatto.
Paesi pieni di contraddizioni, certo, ma anche di uomini che non hanno smesso di sentire, che non hanno disimparato a piangere, che non hanno paura di aprirsi se trovano un luogo sicuro per farlo.
Forse il nuovo modello di maschile nascerà proprio dove l’emozione non è mai stata del tutto zittita.
Quando si vuole cambiare il mondo, la verità emotiva delle proprie azioni è un asset straordinario.
La fragilità, quando non è negata, è un portale.
Un varco attraverso cui può passare un mondo nuovo.
Storie Spaziali per Maschi del Futuro è un regalo perfetto per bambini e bambine dai 5 anni in su! Ordinatelo per tempo se volete regalarlo ai vostri piccoli amici, perché certe volte il sistema di print on demand di Amazon sotto le feste ha qualche ritardo.
Vediamoci di persona in Sardegna!
L’11 Dicembre vengo a fare la prima presentazione di Storie Spaziali per Maschi del Futuro in Sardegna, ad Alghero. Ci vediamo alle 19 alla sala conferenze Lo Quarter in Largo San Francesco.






Moolto interessante questa riflessione. Voglio anch'io esserci in questo cambiamento.
Mi hai convinto, ho sottoscritto.
Da fruitore di Podcast, ti consiglio di fare un podcast Audio, con l'audio entri nell'intimo delle persone e sei svincolata/o dallo schermo. Sarebbe bello poter usufruirne tramite piattaforme aperte di podcast, questo permette una gran diffusione.
Auguri per il tuo progetto.
Stefano
Davvero bello questo post, grazie. Mi aiuta a fare ordine in un'intuizione che sento da tempo, ma alla quale non avevo ancora riflettuto nel profondo, osservando il mio compagno, americano, rispetto a mio fratello, italiano.
Pur cresciuto in un contesto familiare e nazionale decisamente maschio-centrico, essendo in tanti modi il tuo classico uomo italiano (calcio, ecc.), mio fratello non sembra aver paura di vivere le sue emozioni. Le sue amicizie maschili con il gruppo storico del liceo sono intime, si parla molto di come ci si sente - non nel senso della decostruzione (per quel che ne so), ma almeno della condivisione di sentimenti quotidiani, il rapporto con la propria compagna, il lavoro, la famiglia, ecc.
Il mio compagno americano invece non ha amicizie maschili di questo tipo, purtroppo, e negli anni ha fatto un lavoro capillare di repressione delle emozioni, sia negative che positive (posso dirlo perché finalmente ne è diventato cosciente, e ci sta lavorando).
Grazie alla lettura di questo post, riesco a dare più significato alle mie osservazioni di superficie. Continuerò a rifletterci.