#38 C'è davvero posto per i maschi nel femminismo?
Ho parlato di uomini e femminismo con il filosofo Lorenzo Gasparrini
Innanzitutto… una brevissima premessa:
Manca 1 settimana al lancio di Storie Spaziali per Maschi del Futurooooo!
Lo scorso weekend al Festival del Pensare Contemporaneo di Piacenza, in anteprima assoluta, ho letto 3 delle 12 fiabe a un gruppo di bambini (e ai loro genitori).
I genitori praticamente mi hanno vista solo all’inizio, per il resto sono stata una voce che proveniva dal centro di un cerchio di bambini che alla fine di ogni storia chiedevano: “andiamo su un altro pianeta?”.
Che vi devo dire? A me e al mio pubblico preferito piace stare vicini vicini.
<Fine della premessa.>
Dovremmo essere tutti femministi?
Nel 2012, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie tenne un discorso al TEDx di Euston, Londra, con il titolo “We should all be feminists” e cioè: dovremmo essere tutti femministi.
Nel 2013, un pezzetto di quel discorso entrò nella canzone “Flawless” di Beyoncé.
Nel 2014 fu pubblicato dalla casa editrice Fourth Estate.
Il discorso di Chimamanda ha avuto dunque una immensa influenza nella scalata pop del femminismo che ha caratterizzato gli anni tra il 2010 e il 2020.
È stato leggendo il suo librettino che io - che il femminismo fino a quel momento non l’avevo ancora incontrato - ho iniziato a dirmi ‘femminista’.
Per molte persone oggi (soprattutto donne) la risposta alla domanda “dovremmo essere tutti femministi?” è “sì”. Le donne, d’altra parte, tendono a considerare il femminismo come inclusivo e liberatorio, gli uomini invece hanno più la tendenza a considerarlo polarizzante e divisivo.
Dove sta La Verità™?
Ho scelto di parlarne con il filosofo femminista Lorenzo Gasparrini per provare a capire che cosa ci ha trovato lui nel femminismo e in che modi il femminismo ha cambiato il suo modo di vedere il mondo. Come al solito, qui trovate una versione dell’intervista editata per brevità e chiarezza, mentre nell’audio c’è la nostra chiacchierata integrale.
FC: Ciao Lorenzo e benvenuto! Grazie di essere con noi.
LG: Grazie e te dell’invito.
FC: Io e te ci conosciamo da un po’, quindi posso provocarti e dirti che io da questa intervista mi aspetto di essere quella che attacca il femminismo, e mi aspetto che tu lo difenda.
LG: Sicuramente ci divertiamo allora!
FC: Il titolo di uno dei libri che hai scritto per raccontare il tuo impegno femminista e anche la tua lotta contro chi (spesso uomini) si esprime in modo critico nei confronti del femminismo è Ci scalderemo al fuoco delle vostre code di paglia.
La mia prima domanda è: ci scalderemo chi? Al fuoco delle code di paglia di chi?
LG: Quella frase è nata da un litigio su Facebook, ed era il titolo che avevo dato al file che avevo sul computer per ricordarmi cosa ci fosse dentro. “Noi” saremmo quelli che stavano cercando di argomentare perché il femminismo andrebbe conosciuto meglio; dall’altra parte c’era chi rispondeva a questi messaggi assumendo una postura difensiva, adottando toni forti e spesso anche violenti. La coda di paglia è riferito al fatto che discutendo con alcuni di questi uomini ho constatato che quell’atteggiamento spesso nasce dalla paura: di perdere importanza, a volte anche la paura di avere paura. Allora, quello che volevo dire era: va bene, diamo fuoco a queste code di paglia così ci scaldiamo e finalmente possiamo andare avanti, senza perderci in questi botta e risposta online che alla fine non servono a nessuno.
FC: Da dove sei arrivato tu al femminismo?
LG: Ci sono arrivato durante l’università, in modo casuale. Da studente di filosofia mi interessavo del rapporto tra letteratura e corpo. Volevo indagare il fenomeno per cui alcune canzoni, alcuni romanzi, alcune poesie ci danno una sensazione di energia e di benessere, scatenano una reazione positiva nel corpo, e altre invece no: ci fanno star male, venire mal di pancia, mal di testa… mi chiedevo come fosse possibile che un’opera astratta potesse esercitare un’azione sul mio corpo.
Insomma, scoprii con entusiasmo che molte femministe avevano scritto delle cose fantastiche in merito. Quando però portai questi testi ai miei professori trovai un muro: “questa non è filosofia, questi sono problemi delle donne, non ti devi occupare di queste cose perché qui non c’è nulla da studiare”.
Ero solo uno studente, ma quella reazione mi sembrò piuttosto strana e mi diede l’idea che ci fosse qualcosa sotto che non riuscivo a vedere con chiarezza ma che avevo percepito in modo forte. Parlando con alcune persone che erano dentro al femminismo più di me iniziai a compormi un quadro che mi fece capire quali erano le dinamiche in gioco in quel rifiuto che avevo incontrato.
Sai, io avevo iniziato la facoltà di filosofia pensando “ok, non troverò lavoro, ma almeno qui potrò parlare di tutto!” Quando scoprii che non era così e che c’era questa chiusura nei confronti del femminismo ci rimasi male.
FC: Trovo interessante che tu abbia incontrato un limite dell’accademia nel momento in cui hai cercato di far entrare il corpo nel tuo percorso di conoscenza. Ti va di dirmi di più di questa cosa?
LG: Io mi ero imbattuto in questo tema studiando i modi in cui funziona la manipolazione. Avevo incontrato questo concetto relativo alla possibilità di parlare alla pancia delle persone, al cuore, e a tanti altri organi. Semplicemente attraverso il linguaggio, e la relazione del linguaggio col corpo, coi corpi, cambia moltissimo il modo in cui certe realtà si costruiscono nella coscienza delle persone. Il linguaggio per esempio determina il fatto che riteniamo alcuni corpi più accettabili di altri, così come il rapporto che abbiamo con il nostro corpo.
FC: Tu, per esempio, che cosa hai scoperto di te grazie al femminismo?
LG: Innanzitutto ho scoperto di essere in una posizione sociale che non avevo scelto e che reputavo ‘normale’, ma non era ‘normale’ per niente, perché era costruita sulle spalle di altri e altre. Ho scoperto che c’erano tante persone che sulla carta avevano i miei stessi diritti, le mie stesse possibilità… ma nei fatti questo non era vero.
Mi sono chiesto: come fai a lavorare su questa cosa che c’è, che tu non hai deciso, che non hai voluto e per di più che nessuno ti ha raccontato? Innanzitutto cambiando la narrazione e provando a far sorgere dei dubbi anche nei miei congeneri, provando a spiegare perché alcune parole sarebbe meglio non usarle, perché dovremmo cambiare il modo di riferirci ad alcune cose.
Ho cominciato dalla mia cerchia di amici maschi.
FC: E qual è stata la loro reazione?
LG: Con alcuni abbiamo smesso di essere amici. Altri invece hanno trovato nelle cose che gli dicevo un vocabolario per parlare di quello che avvertivano confusamente magari da tempo, ma senza saperlo nominare.
FC: Che impatto ha avuto questo viaggio di riflessione sul tuo essere padre?
Quando ho preso la decisione di essere papà, c’era una domanda dalla quale ero ossessionato: sarò il padre che ho avuto o quello che volevo?
Poi, quando i figli arrivano (io ho due maschi) capisci che le domande che uno si fa prima si scontrano con delle creature viventi e hai poco da chiacchierare: devi star lì e vivere, ogni giorno, e devi renderti conto che hai la possibilità di costruire una relazione nuova. Se, per esempio, hai un modello di riferimento negativo puoi usarlo per costruire qualcosa di diverso, accettando il fatto che il tuo modo di essere padre non sarà necessariamente migliore, ma diverso da un modello negativo… già è una cosa.
Sono riuscito anche ad aprirmi con i miei figli rispetto alle difficoltà che ho avuto con mio padre, ma nello stesso tempo a fare in modo che loro potessero instaurare un loro rapporto col nonno.
Certo, il fatto di aver cresciuto due figli con i quali ho sempre condiviso gli strumenti critici che ho acquisito ha anche i suoi lati negativi: vuol dire che loro quegli strumenti li usano anche contro di me, mi dicono quando sbaglio e purtroppo molto spesso hanno pure ragione!
FC: Lorenzo, ti devo confessare che certe volte io ho un problema con gli uomini femministi. A un certo punto mi sono resa conto che provavo rabbia e frustrazione per il fatto che gli uomini non partecipassero agli incontri femministi, ma anche fastidio quando partecipavano: non avevo l’impressione che usassero gli strumenti del femminismo per avviare un dialogo onesto con se stessi… mi sembrava che facessero una performance, che ripetessero delle formule imparate a memoria per farsi dire ‘bravi’. Sono una persona orribile, o anche tu hai avuto a volte questa impressione?
LG: Stiamo parlando di una cosa estremamente difficile per un uomo che arriva al femminismo dopo una certa età, e cioè imparare ad essere un alleato politico. Di solito gli uomini se si impegnano in una lotta, se scendono in piazza a manifestare o anche supportano un’idea in ambienti familiari… lo fanno perché se ne sentono protagonisti. Essere alleato invece vuol dire battersi per una battaglia che non è la tua.
FC: Forse hai proprio toccato il nervo scoperto della questione: io trovo difficilmente digeribile la retorica del “questa lotta non è la tua”, perché se continuiamo a trattare gli uomini come ospiti di questa battaglia… io credo che non arriveremo mai al cambiamento radicale di cui abbiamo bisogno. Perché la lotta contro la violenza non dovrebbe essere una lotta prima di tutto degli uomini? Dietro questa retorica c’è la convinzione che perché le donne stiano meglio, gli “uomini bianchi etero cis” devono stare un po’ peggio. Ma secondo me questa impostazione del problema non è solo falsa, ma anche strategicamente sbagliata. È questo il mio punto di frizione con un certo femminismo. Non con quello di bell hooks per esempio, il cui lavoro per me continua ad essere una enorme fonte di ispirazione.
LG: Se ci limitiamo alla formula “questa non è la mia lotta” mettiamo in atto un meccanismo autosabotante. Diciamo che è importante rendersi conto di come far parte della battaglia senza però rendersene protagonisti. Ognuno di noi deve fare la sua parte. Noi abbiamo un ritardo notevole per quanto riguarda il nostro modo di vivere questa lotta: non sappiamo cosa fare, cosa dire, come organizzarci, cosa rispondere. Ciononostante dobbiamo iniziare da qualche parte, anche sbagliando, ed essere consapevoli che ci saranno dei conflitti, che sono inevitabili, che la nostra presenza sarà più gradita in certi contesti e meno in altri, e va bene così.
Il punto però non è smettere di fare quello che dice il patriarcato e obbedire al femminismo. Dobbiamo smettere di obbedire a qualcuno e costruire la nostra soggettività in maniera molto più libera e autonoma.
FC: Come vedi i maschi del futuro?
LG: Sono stato sorpreso dal modo in cui i più giovani riformulano alcuni problemi, descrivendoli in modo diverso da come li descrivevo io. Ti faccio un esempio: la gelosia. Io pensavo che fosse un problema superato, e invece ancora oggi è un tema molto presente nelle relazioni tra ragazzi e ragazze. Solo che quelli delle generazioni più giovani lo definiscono un problema di controllo.
FC: Effettivamente questo è un passo avanti, perché mette la responsabilità sul controllante più che sulla controllata. C’è speranza!
LG: La mia speranza per i maschi del futuro è che non abbiano paura di quello che gli è stato detto di non dire, delle cose di cui gli hanno detto di non parlare perché “non sono da maschi”. Se superiamo questa paura, la metà del lavoro è già fatta.
FC: Grazie mille Lorenzo del tempo che mi hai dedicato e del tuo impegno!
LG: Grazie a te per Maschi del Futuro!
Ed eccoci qua! È stato molto bello parlare con Lorenzo: spero che anche voi ne abbiate tratto degli spunti interessanti. Alla domanda: dovremmo essere tutti femministi? credo che la mia risposta sia “no”: il femminismo è sempre stato e resta un mezzo, non il fine. Il fine è la parità di genere, l’equità, debellare la violenza di genere, combattere le ingiustizie sistemiche e il femminismo finora è stato semplicemente il mezzo più potente che l’umanità abbia elaborato per avvicinarsi a quell’obiettivo.
È certamente possibile che non sia l’unico. Addirittura auspicabile! L’obiettivo è così importante e ambizioso che dovremmo desiderare che ci siano quante più strade possibile per giungere alla meta, non solo quella che stiamo percorrendo noi.
Credo che sia però importante riconoscere l’importanza cruciale che il femminismo ha avuto (e ha) nel renderci consapevoli di dinamiche che ci sono restate molto a lungo completamente invisibili. E credo che le femministe ci abbiano donato una enorme quantità di strumenti che oggi tutt possiamo usare, se vogliamo, per liberarci da catene che altrimenti rischiano di rimanere invisibili.
Mi farebbe molto piacere sapere nei commenti qual è il vostro rapporto con il femminismo e se è cambiato nel tempo in un senso o nell’altro, quali sono le cose utili che il femminismo ha portato nella vostra vita, e se ci sono degli aspetti del femminismo che vivete con conflitto. È un tema molto difficile di cui parlare, ma se ne parliamo con rispetto reciproco, onestà e voglia di capire quale sia la provenienza delle nostre convinzioni… io credo sia davvero una conversazione importante.
Io non vedo l’ora che sia il 3 Ottobre, ma sono anche agitatissima e tesa come una corda di violino. Intanto, la stampa ha cominciato a parlare di noi. Anna Puricella, su Repubblica Bari, ha aperto il suo pezzo scrivendo:
È fondamentale parlare alle bambine, destrutturare il prima possibile quel sistema di stereotipi che sin dall’infanzia le vuole succubi e incapaci di sognare in grande; ma è altrettanto fondamentale rivolgersi ai bambini, che vivono la pressione dell’altra faccia della medaglia, spronati dai primi anni di vita a primeggiare, essere forti, non piangere mai. Cavallo ha allora, ancora una volta, non solo cambiato le carte in tavola, ma ribaltato l’intero tavolo: e Storie spaziali per maschi del futuro è la sua nuova avventura editoriale, stavolta pensata per i ragazzi.
Questa, invece, è Enrica Brocardo su Vanity Fair di questa settimana (quello con Giorgia in copertina):
Insomma, voi tenete caldi i motori, perché la prossima settimana… si decolla.
A giovedì!
Vediamoci dal vivo:
27 Settembre - MILANO: Mix Festival alle 17.30 a CAM GARIBALDI
28 Settembre - ROVERETO: al Wired Next Fest alle 3.35pm al Teatro Zandonai con il direttore di Wired Federico Ferrazza
4 Ottobre - MILANO: PRIMA PRESENTAZIONE DI “STORIE SPAZIALI PER MASCHI DEL FUTURO” con Claudio Nader di Osservatorio Maschile alle 18 Festival Farout organizzato da Base Milano!
6 Ottobre - BRESCIA: Storie Spaziali per Maschi del Futuro a Librixia, ore 16 al Cinema Eden (dopo sarà proiettato un film di animazione)
7 Ottobre - VENEZIA - ore 18 da Zenobia alla Giudecca con Francesca Zucchi (l’art director di Storie Spaziali per Maschi del Futuro!!!)
12 Ottobre - ROMA - ore 15 al Congresso dell’Associazione Luca Coscioni con Chiara Lalli
19 Ottobre - BOLOGNA: al festival Città delle Donne
29 Ottobre - BOLOGNA: Storie Spaziali per Maschi del Futuro con Vincenzo Branà all’oratorio San Filippo Neri insieme ai Giovani Reporter
Hai detto bene anche tu Francesca quando hai sottolineato che il femminismo è un mezzo e non un fine. Io mi ci sono avvicinato in tarda età (dopo i 40 diciamo) ma venivo da una storia di interessi su questioni di genere più generalizzate. Poi ho cominciato a leggere molto (bell hooks anche io soprattutto) e ho aperto gli occhi su alcune cose… Io “uso” il femminismo intersezionale - come penso potrebbero fare molti maschi - per interpretare il mondo e per cercare di liberarmi dai vincoli che il patriarcato impone su di me. È *anche* una mia battaglia, oltre ovviamente a provare ad essere alleato di tuttə. Posso capire il tuo fastidio e in effetti in alcune situazioni sto zitto e ascolto (puoi capire cosa posso avere da dire io sul corpo delle donne). In altre mi metto in gioco in prima persona. Comunque grazie di questo bel post!
Ho un po' di tempo e provo a scrivere sul mio rapporto con il femminismo. Prima di tutto è cominciato con la curiosità. Curiosità di ascoltare quello che sosteneva chi aveva un punto di osservazione diverso dal mio. Per quanto potessi sforzarmi, molti aspetti della cosiddetta questione femminile probabilmente non sarebbero giunti alla mia attenzione senza un apporto esterno. Mi sono quindi interrogato sulla fondatezza delle rivendicazioni del movimento femminista. Ovviamente, quando vengono messi in discussione privilegi acquisiti e consolidati nel tempo, ancorché ingiusti, non è facile ammettere, con se stessi prima di tutto, di essere dalla parte del torto. Jung diceva che le persone potrebbero imparare dai propri errori se non fossero troppo impegnate a negarli. Dopo l'ascolto, ecco il secondo punto fondamentale: ammettere con se stessi che alcune consuetudini non possono più essere tollerate. Terzo punto: passare dalla teoria alla pratica. Nella vita di tutti i giorni mi comporto coerentemente con quello che a parole sostengo? O la mia è soltanto un'ipocrita piaggeria per ottenere un facile consenso dalle esponenti del mondo femminile? Anche negli aspetti formali, nel rispetto e nei rapporti con le persone dell'altro sesso ho un atteggiamento non discriminante? Ho eliminato del tutto stupidi pregiudizi e stereotipi? Per rispondere a queste domande continuo ad interrogarmi, ad acquistare libri (l'ultimo è "Il costo della virilità" che consiglio), mi confronto come sto facendo adesso cercando di non trovare alibi nel fatto che, talvolta, alcune esasperazioni del mondo femminista non mi sembrano condivisibili.